Cosa sto imparando vivendo la Rete (I)

Da circa tre mesi sto portando avanti un esperimento che ho iniziato un po’ per gioco, un po’ per emulazione e un po’ per curiosità.

Ho deciso di testare i vari canali attraverso cui è possibile aumentare la propria visibilità e rendere proficua la presenza sul web.
Non sapendo da dove cominciare, ho preso spunto da alcuni professionisti che seguo tramite WordPress, Facebook e Twitter. Mi sono permessa di seguire per qualche settimana i loro aggiornamenti e il loro modo di interagire con colleghi, amici e followers.

✎ La prima cosa chiara ed evidente è la costanza. Occorre essere attivi nel vero senso della parola. Ogni giorno, la propria presenza va confermata condividendo articoli, immagini, foto, citazioni, chiacchierando con chi è interessato al tuo lavoro ed esprimendo le proprie idee in tutti i modi possibili.
✎ Infatti, un importante fattore è l’interazione con gli altri utenti. Tutte le persone che ti seguono (ed anche quelle che capitano casualmente nelle tue pagine) sono ugualmente fondamentali per la creazione di una rete di contatti efficiente ed attiva (oltre che reattiva). Il ruolo cruciale è sempre il tuo, perché sta a te interagire e conversare con gli altri iscritti in modo da riuscire ad allacciare rapporti, trovare persone che abbiano i tuoi stessi interessi o che siano capaci di aprire le tue conoscenze verso nuovi orizzonti.
✎ A ciò fa seguito l’importanza della condivisione. È davvero importante imparare a parlare con gli altri senza paura, riuscire ad uscire dal proprio guscio e condividere con gli altri le esperienze pregresse, sia belle che brutte. Il nostro piccolo bagaglio ci ha resi i professionisti che siamo oggi e questo potrebbe essere d’aiuto ad altri, così come l’esperienza di chi lavora da più anni in un settore potrebbe essere d’aiuto per noi.
✎ E qui si collega l’ultimo punto fondamentale, cioè la necessità di essere catchy a 360°, Non c’è nulla di più vero e importante dell’essere completamente se stessi. Infatti, la chiave per aprire tutte le porte della Rete è utilizzare la propria personalità mettendo in risalto i propri punti di forza, gli interessi e le conoscenze. Attraverso i post scritti nei blog, oppure i 160 caratteri di cui sono composti i tweet, possiamo realmente diversificarci dagli altri creando un nostro codice, condivisibile, che ci aiuti ad uscire dall’anonimato e, allo stesso tempo, renderci interessanti verso i nostri lettori.

Nel flusso continuo di informazioni che attraversa il web e si getta senza argini tra le righe dei social media, emerge chi riesce a veicolare un messaggio facilmente accessibile ed al tempo stesso creativo – cercando, però, di non sfociare in esagerazioni o mancanza di professionalità. Perciò, quando si scrive per la Rete, occorre fornire dati e tesi opportunamente corredati da immagini e testi semplici ma esaustivi, utilizzando strategie innovative e fresche. Inoltre, quando si scrive un articolo da pubblicare nel proprio blog, la scelta delle parole chiave è fondamentale in quanto aiutano la ricerca dei post ed anche l’individuazione dei principali punti trattati. Lo stesso discorso vale per i social network, dove le stesse key words sono equiparabili agli hashtags.

Seguendo queste prime semplici considerazioni, ho pensato di iniziare a condividere nel mio blog le ecards create per smorzare un po’ lo stress lavorativo, citazioni e articoli scritti di mio pugno. Purtroppo, finora, ho pubblicato un solo articolo completo. Mi è capitato di incorrere nello smarrimento di una scrittrice che si ritrova in una piazza affollata e non sa più dove guardare e chi ascoltare.

Ciò è sicuramente dovuto all’inesperienza e alla mancanza di organizzazione. Hai delle idee, sapresti anche che contenuti sviluppare e come svilupparli, ma ti sembra sempre di non avere il tempo necessario. Le settimane passano e le tue bozze restano là, salvate e destinate a non vedere mai il punto finale ed il fatidico click sul tasto “Pubblica”. Nonostante questo, non demordo. Continuerò a pianificare e cercare di scrivere altri post come quello di oggi. In fondo, ho tantissimo da imparare e l’unico modo che conosco per migliorare è sperimentare. Se non dai sfogo alla tua creatività buttandoti nella mischia, non saprai mai cosa puoi e non puoi fare. 🙂

Una cosa che ho sicuramente imparato, e che a parer mio è assolutamente da evitare, consiste nel reblogging selvaggio.
Questa tecnica somiglia ad un retweet o uno share su facebook, ma permette di copiare ed incollare gli articoli altrui nel proprio blog (o sito). Purtroppo, seppur appropriatamente citati e forniti di tutti i riferimenti che rimandano all’autore originale, non possono sostituire un bel post scritto con impegno di proprio pugno. L’ho sperimentata per un po’, ma anche se accompagnato da qualche commento sporadico come introduzione all’articolo da condividere, oppure da un’emoticon e una frase per non sembrare maleducati nel riprendere testualmente il lavoro di altri, non è assolutamente utile e tanto meno professionale. Assolutamente da evitare.

Se un articolo è particolarmente interessante o ci ha colpito in qualche modo, le modalità di utilizzo di quel pezzo possono essere molteplici e diverse, a seconda di cosa pensiamo di farne. Se vogliamo, possiamo condividerlo attraverso i social network che sono più immediati e permettono di avere l’informazione a disposizione in tempo reale e possono essere opportunamente taggati per dare visibilità anche a chi l’ha scritto e, anche a chi l’ha condiviso prima di noi.

Per i social network che sto sperimentando in questo momento, occorre tenere presente alcuni accorgimenti:

TWITTER: Twitter è una piattaforma veloce, la TL (ndt: tweet line / time line) si aggiorna continuamente e i nostri followers (seguaci) non vivono costantemente con la pagina aperta o con il cellulare piantato su un solo social, perciò, occorre postare in maniera mirata in determinati orari ed essere concisi. Per fare ciò siamo facilitati dagli hashtag, cioè quelle parole che vengono precedute dal # (cancelletto) e che servono per indicizzare tutti i cinguettii relativi ad uno stesso argomento. Utilizzandoli, chi è interessato a determinati argomenti, cercherà gli hashtag più comuni di riferimento e troverà anche l’articolo che vogliamo condividere (se corredato di quell’hashtag).

FACEBOOK: Facebook è una piattaforma dove gli utenti sono tutti interconnessi sia per essere informati sugli ultimi fatti, sia per scambiare opinioni e fare un break mentre si sta lavorando. I post su facebook sono più argomentativi. E’ importante dare informazioni abbastanza dettagliate su ciò che si sta per pubblicare, ma al tempo stesso bisogna incuriosire il lettore. Le immagini sono molto importanti, perché attirano l’attenzione di chi sta leggendo. Il fatto di avere la possibilità di commentare “a vista”, aiuta l’interazione e anche nei commenti si possono inserire ulteriori informazioni che invoglino il lettore ad iniziare o continuare un’eventuale conversazione.

Se ciò a cui si punta è la diffusione di contenuti per immagini, possiamo usufruire di altri canali come Instagram e Pinterest.

INSTAGRAM: è una grande piazza dove ognuno condivide in maniera visuale le proprie idee. E’ importante scegliere il giusto soggetto da ritrarre e da condividere con gli altri igers (ndt: le persone che pubblicano su Instagram, anche detti Instagramers) ed accompagnarlo con una descrizione accattivante che invogli l’utente a “cuorare” (ndt: l’equivalente del “mi piace” di facebook) l’immagine o commentarla. Inoltre, è fondamentale utilizzare i giusti hashtag, perché anche qui – come accade per twitter – le foto vengono indicizzate in base alla parola che viene scelta per effettuare la ricerca delle immagini.

PINTEREST: Pinterest è un social network molto particolare, che permette di seguire le bacheche di immagini create da ogni utente. E’ un sistema molto semplice e snello mediante il quale si possono creare piccole (o grandi) collezioni di immagini suddivise per categorie o settori. Qui il termine da usare è “pin”, cioè la puntina che viene spesso utilizzata per fissare un pezzo di carta o un qualsiasi documento o foto su una bacheca (ndt: ricordate le bacheche in sughero nelle vostre scuole?). Ogni pin equivale ad un’immagine che viene inglobata nella propria bacheca. E’ possibile anche qui “cuorare” per mostrare gradimento verso le immagini postate dagli altri utenti.

Per avere un’idea degli orari ideali in cui diffondere i propri post, potete fare riferimento all’infografica qui sotto. Ho tradotto ed adattato alcuni dati che ho trovato girovagando per la rete. (NB: è la mia prima infografica, mi scuso con chi la troverà un po’ grezza, ma sto ancora sperimentando e sono stata già fortunata, perché c’è lo zampino di mia sorella, che mi ha dato una mano ad organizzare le idee. 🙂 )

 

Quando postare sui Social Media
Quando postare sui Social Media

Lasciatemi pure i vostri commenti se volete. Sarò felice di ascoltare suggerimenti, critiche e scambiare opinioni a proposito di social media e scrittura di post. Grazie! 🙂

#translatorsgonnatranslate
#perlediunatraduttrice
#keepgoing

Translators: beware of spelling mistakes during the Easter holiday!

Buona Pasqua!

Happy Easter!

¡Feliz Pascua!

Frohe Ostern!

Joyeuses Pâques!

Καλό πάσχα!

Feliz Páscoa!

复活 节 快乐!(fùhuó jié kuàilè)

Христос Воскресе ! (Xristos voskres)

المسيح قام ! (el maseeh qam)

Translator Fun

Easter bunny (click on the image to enlarge)
Easter bunny (click on the image to enlarge)

See this cartoon in Spanish.

Wishing you a happy Easter time!

You may also stop by Translator Fun Shop.

View original post

[Repost] 10 things you should NEVER say during presentations

10 things you should NEVER say during presentations
October 24, 2012 on LinkedIn by Boris V

At our TNW Conferences we see a lot of presentations and I have given a fair share of presentations myself. I often see people making the same mistakes and cringe when I hear the same excuses or basic mistakes when people get on stage. The easiest way to lose an audience is to make a mistake in the first minute, and that is exactly where most mistakes are made. Here is my list of 10 things you shouldn’t say during presentations:

1: I’m very jet-lagged, tired, hungover
Not sure where this comes from but one in 5 presentations at any conference will start with an excuse. ‘They only invited me yesterday’, ‘I’m really tired from my trip’ or another lame excuse that the audience really doesn’t want to hear. We, the audience, just want to see you give it your best. If you feel like shit and can’t give it your best than maybe you should’ve cancelled. Take a pill, drink an espresso and kill it!

2: I’ll get back to that later
If you happen to stumble upon an audience that is eager to learn and interact you should always grab that chance and enjoy it. If someone has a question that you will address in a later slide just skip to it right away! If someone is brave enough to raise their hand and ask you a question you should compliment them and invite the rest of the audience to do the same. Don’t delay anything.

3: Can you hear me? Yes you can!
This is how a lot of people start their talk. They will tap a microphone three times, shout ‘can you all hear me in the back’ and then smile apologetic when it becomes clear that, yes, everybody can hear you but nobody raises their hands. It isn’t your responsibility to check the audio. There will be people for that. If you speak into the microphone and you get the impression just relax, count to three, and try again. If you still think the sound isn’t working just calmly walk to the edge of the stage and discreetly ask the moderator to check for you. Smile at the audience and look confident. Assume it all works until the opposite has been proven, then stay calm and wait for a fix.
4: I can’t see you because the lights are too bright
Yes, when you are on stage the lights are bright and hot and it will be difficult to see the audience. But they don’t have to know about all that. Just stare into the dark, smile often and act like you feel right at home on there. Feel free to walk into the audience if you want to see them up close. Don’t cover your eyes to see people but politely ask the lights people to turn on the lights in the room if you plan to count hands or ask the audience a question. Even better, talk to the lights people in advance so they are prepared when you are going to ask them.
5: Can you read this?
The common rule is to make the font size on your slides twice the size of the medium age of the audience. Yes, that means that if you expect the audience to be 40 on average you are stuck with a font size of 80 points. You won’t be able to fit a lot of text on the slide that way, which is a good thing, and brings us to the next point.
6: Let me read this out loud for you
Never ever ever ever in a million years add so much text on a slide that people will spend time reading it. And if you do, make damn sure you don’t read it out loud for them! The best way to lose your audiences attention is to add text to a slide. Here’s what will happen when you have more than 4 words on a slide; people will start reading it. And what happens when they read it? They will stop listening to you! Only use short titles on your presentations and memorize the texts you want them to read. Or, if you MUST include an awesome three sentences quote, announce that everybody should read the quote, then shut up for 6 seconds so they can actually read it.
7: Shut off your phone/laptop/tablet
Once upon a time you could ask an audience to shut off devices. That was a long time ago. Now people tweet the awesome quotes you produce or take notes on their iPads. Or they play solitaire or check Facebook. Times change. You can ask if people turn their phones to silent mode but apart from that you just have to make sure that your talk is so incredibly inspiring people will close their laptops because they don’t want to miss a second of it. Demanding their attention is just not going to work.
8: No need to write anything down or take photos, the presentation will be online later
It is really cool that you will upload your presentation later. But if it’s a good presentation it won’t contain too many words (see point 4) it won’t be of much use to them. For a lot of people writing something down is just an easy way to memorize something you’ve said. The act of writing down a sentence also embeds it in your brain and who knows, they might be really inspired and come up with something they’ve heard in between your lines that might change their business. Allow people to do whatever they want during your presentations.
9: Let me answer that question right away
Of course it is awesome if you answer a question right away, but you need to do something else first! Very often the question an audience member will be very clear to you but not to the rest of the audience. So please say “I’ll repeat that question first so everybody hears it and THEN I will answer it”. Make it a habit to repeat questions also because the extra time it takes to repeat it gives you extra time to think about an awesome answer.
10: I’ll keep it short
This is a promise nobody ever keeps. But a lot of presentations are started that way! The audience really doesn’t care if you keep it short or not. They’ve invested their time and just want to be informed and inspired. Tell them ’This presentation is going to change your life’ or ’This presentation is scheduled to take 30 minutes, but I’ll do it in 25 minutes so you can go out and have a coffee earlier than expected”. Now all you have to do is keep that promise, which brings me to the last point.
Bonus tip: What, I’m out of time? But I have 23 more slides!
If you come unprepared and need more time than you are allowed you’ve screwed up. You need to practice your presentation and make it fit within the allotted time-slot. Even better, end 5 minutes early and ask if anyone has questions, and if they don’t invite them for a coffee to talk one-on-one. Giving an audience 5 minutes back will earn their respect and gratitude. Taking an extra 5 will annoy and alienate them.
Conclusion: come prepared, be yourself and be professional. The audience will love you for being clear, serious and not wasting their time.
[Repost from a sharing by Rainylondon on fb]

[Repost] 10 Ways to become a better proofreader (by Daphne Gray-Grant)

10 ways to become a better proofreader

become a better proofreader

by Daphne Gray-Grant

Cf. original: http://www.publicationcoach.com/become-a-better-proofreader/

If you can afford to outsource your proofreading, do it. If you can’t here are some tips that will help…

Do you clean your own gutters?Change the oil in your own car? Bake every birthday cake from scratch? I’m guessing you don’t do many — if any — of these things. And you shouldn’t proofread, either.

Proofreading is a specialized job requiring someone with talent and training. I’m not a natural proofreader myself, but I know how to hire excellent ones. They should cost about $40/hour.

But if I must proofread, I can do it using the following tricks. You can use them, too:

(1) Allow some time to pass after you finish writing/editing and before you start proofreading. We all make unconscious mistakes and they are hard to spot because our brains “fill in” the correct word. You may have meant to write trickier but somehow it came out as tricker. The trouble is, if you’re familiar with the story, you eye will glide right by the error. If you take a break, however, you’re far more likely to catch the problem.

(2) Print out your text and proofread on paper. In part, because using a computer shines a light in our eyes, we all read material onscreen much more quickly and less carefully than we do in print. Try to print out your work before proofing it.

(3) If there is some reason that prevents you from printing, use a distinctive typeface and dramatically increase the point size before proofing. When I am forced to proof onscreen, I like to use Papyrus or Candara18 point – this makes it easier to spot errors.

(4) Pay particular attention to names (people, books, movies, songs), addresses, titles and dates. Be aware the single most common mistake is to mismatch days with dates. (For example: saying Monday, Feb 12, when in fact it is Tuesday, Feb 12.)

(5) Check what I call the “ big, obvious yet somehow invisible” stuff.By this I mean logos, company names, and extra-large headlines. Ironically, the bigger the type, the more likely you are to miss a typo.

(6) Start at the end. Professional proofreaders often read at least once backwards. No, I don’t mean they read the words backwards. I mean, they read the last sentence first. Then the second last sentence, then the third last sentence…until they work their way back to the beginning. This forces them to read each sentence in isolation – breaking the familiarity with the piece that might cause them to miss errors.

(7) Put a ruler under each line as you read the text. This forces you to work much more slowly and stops your eye from jumping ahead to the next line.

(8) Consider what you might have left out. For instance, if the piece requires an RSVP, it needs a phone number or e-mail address to which someone can respond. It should also have the date of the event and an address.

(9) Make a list of your own common spelling or grammar errors and check for those specifically (do you mix “affect” and “effect” for example?)

(10) Read your work aloud at least once. You’ll catch a lot more errors this way.

Machine Translation(s)

The only MACHINE TRANSLATION I accept. ;D

Go Indie!

amnesia

additional musicians:
guy freer – keyboards
katheryn brownhill – violins, backing vocals
jonathan nix – backing vocals
ania freer – backing vocals
marianthe loucataris – drum samples

choose your taker, lips and purse
oh jees you picked one worse
amnesia, here’s your curse

for every new thing that you find
you’re gonna leave something behind

at ease you’re a skipping stone
knock knees you till you’ve grown
amnesia, pick up the phone

for every new thing that you find
you’re gonna leave something behind

and you can dance me round again
till it feels like everything
is getting smaller
and closer up

the same again tomorrow…

amnesia, the wild bore
that’s the cheese you ate before
amnesia, please get out more

for every new thing that you find
you’re gonna leave something behind

and you can dance me round again
till it feels like everything
is getting smaller
and closer up

the same again tomorrow…

goodnight

#perlediunatraduttrice
#translatorsgonnatranslate
#getinspired

Quote of the Day.

QOTD:

 

Translartisan
by Translartisan

Have a good weekend everyone!

Get inspired!

🙂

Repost: Cómo trabajar desde casa sin volverse loco (by Isabel Garzo)

 La guida perfetta per chi lavora da casa (come me!).

Riposto l’articolo segnalato da “Las 1001 traducciones“.

Cómo trabajar desde casa sin volverse loco

La euforia inicial ante las ventajas de tener la oficina en casa (libertad de horarios, comodidad…) deja paso, a menudo, a la decepción tras el descubrimiento de las desventajas: soledad, falta de concentración, monotonía… Te enseñamos cómo manejarlas.

Fotos de Marc Samsom

Licencia CC by 2.0.

5330967929_5b56a6c803_b

Tags:

Trabajar desde casa es, para algunos, la solución perfecta (por ejemplo, para conciliar la vida laboral y familiar o para llevar a cabo varios proyectos de forma simultánea) y, para otros, un resultado involuntario de su búsqueda de empleo o una situación temporal.

Es innegable que ser productivo en casa tiene algunas dificultades añadidas con respecto a serlo en una oficina. Ese es el motivo de que muchos estudiantes llenen las bibliotecas antes de las pruebas de Selectividad y durante sus cursos académicos: en casa no se concentran igual.

En casi todos los casos, la euforia inicial ante las ventajas de esa situación (libertad de horarios, comodidad, ahorro del tiempo empleado en desplazamientos, etc) se ve rebajada por el descubrimiento de las desventajas: falta de concentración, interrupciones, monotonía, carencia de contacto con otras personas, necesidad de un cambio de aires…

Hay algunos trucos para que trabajar desde casa sea más llevadero, tanto si eres de los que tienen intención de mantener esa situación en el tiempo como si eres una víctima pasajera de las circunstancias. Estos consejos sirven para ser más productivo pero, sobre todo, más feliz mientras se trabaja en casa; y pueden valer también, por ejemplo, para quien esté buscando empleo, escribiendo un libro o gestando un proyecto empresarial.

1. Distingue los espacios en casa

Si tienes una mesa alta para el ordenador, intenta no trabajar desde la cama o el sofá. De lo contrario, tu casa al completo se convertirá en tu oficina y no tendrás dentro de la misma ningún rincón para desconectar. Distinguir el espacio de trabajo es crucial para ser más productivo y aprovechar más tu tiempo de descanso. Si no, el trabajo se convierte en un compañero de piso detestable que no respeta tu privacidad. Y recuerda que, en el rincón que conviertas en tu «oficina», debes estar cómodo, pero no demasiado, si no quieres «apalancarte».

CC by 2.0 (Author: gibsonsgolfer)

CC by 2.0 (Author: gibsonsgolfer)

2. Procura salir de casa y ver personas ajenas al trabajo también entre semana

Es una de las desventajas en la que coinciden casi todas las personas que trabajan desde casa: el desgaste que supone seguir en pijama a las 16:00 h, no oír otra voz humana en las primeras ocho horas del día, no acicalarse para una reunión… Si eres de los que se sienten mal por pasar tantas horas solitarias en casa, trata de cerrar citas con amigos o familiares también entre semana. Aprovecha para ello la hora de la comida, las últimas horas de la tarde… Tu mente te agradecerá un cambio de aires. También es útil comprometerte con alguna actividad que te obligue a salir de casa con regularidad (un curso, un deporte…).

3. Levanta una muralla contra las interrupciones de otros…

Desactiva los avisos de correos electrónicos y mensajes de WhatsApp: que seas tú quien decida cuándo consultarlos. Más de lo mismo con los chats de Facebook o Gmail: si quieres aprovechar el tiempo, mantén todo cerradito y apagado. Si recibes una llamada personal que no es urgente, explica que estás trabajando y que podrás hablar más tarde: lo mismo que harías si estuvieras en una oficina.

4. ¡…y también contra las interrupciones voluntarias!

Y es que estas son las peores. De repente se te ocurre que podrías consultar el WhatsApp, ya que tienes desactivados los avisos, por si te han escrito algo importante. O que vas a darte una vuelta rápida por Facebook y Twitter, solo por si tienes algún mensaje directo. O que te apetece un poco de chocolate. O que hace diez minutos que no consultas tu correo electrónico. Y en cuanto se te ocurre cualquiera de esas cosas, ya no puedes evitar detener el trabajo para llevarlas a cabo. Al final, una jornada de cuatro horas se convierte en una serie de pequeños momentos si eliminamos el tiempo dedicado a todas estas tareas. Por eso hay que ponerse serio: por ejemplo, puedes poner el móvil en un sitio cercano, pero al que no alcances sin levantarte (así no perderás ninguna llamada importante, pero no cederás a la tentación de consultarlo con frecuencia).

5. Evita posponer en exceso

Ya lo decía Larra en su conocido artículo «Vuelva usted mañana». A veces tendemos demasiado a posponer. Y muchas veces no es por ningún motivo de peso, sino simplemente por pereza. Es más cómodo pensar «lo haré luego» que hacerlo. Pero, a menudo, hacerlo más tarde quita más minutos que hacerlo ahora. Pensemos, por ejemplo, en la respuesta a un correo electrónico. Si acabas de leerlo, tardarías X en responderlo. Pero si lo dejas para más tarde, además de tener que anotarlo para que no se te olvide, tendrás que emplear un tiempo en releerlo antes de responder. Siempre es mejor solucionar las cosas cuando las tienes frescas en la cabeza.

6. Motívate con «premios» y momentos de descanso

Es más fácil ir alcanzando pequeñas metas que mantenerse activo y concentrado durante seis u ocho horas seguidas. Por eso, es positivo que establezcas tus propias normas y construyas tu «juego» de esfuerzos y recompensas. Por ejemplo, si te apetece un café, fuérzate a no levantarte a prepararlo hasta que termines la página en la que estás trabajando. O tómate un descanso de cinco minutos cada hora en punto para jugar un poco al Candy Crush. Una fragmentación disciplinada del tiempo es positiva y te ayudará a rendir más en tus momentos activos.

CC by 2.0 (author: Britt Selvitelle)

CC by 2.0 (author: Britt Selvitelle)

7. No seas un «7- Eleven»

No trabajes las veinticuatro horas del día ni los siete días de la semana. Es crucial que te olvides del trabajo durante un par de días al igual que hacen las personas que trabajan en una oficina. Si estás siempre disponible para tus clientes o aprovechas cualquier momento libre para avanzar, serás más susceptible de verte superado por el trabajo. Ponte una hora límite por las tardes y respeta los fines de semana: verás como, cuando llegue el lunes o la mañana siguiente, lo agradecerás.

8. Haz listas y planifica tus jornadas

Aunque suene a consejo de «técnicas de estudio» del cole, apuntar las tareas pendientes es la única forma de no olvidar nada y es una de las principales reglas de coaching personal y profesional. Y, para que las tareas pendientes no se arrastren eternamente de unas listas a otras, es útil hacer, al menos, dos: una lista con las tareas inmediatasque se podrán solucionar en las próximas jornadas de trabajo y otra con las tareas atemporales o a medio plazo, las que no se van a solventar inmediatamente.

Al empezar cada jornada, dedica unos minutos a repasar tus listas y ponerte objetivos realistas sobre las tareas que completarás ese día. Así no te frustrarás cuando queden cosas por hacer al final de la jornada.

9. Apunta las horas que dedicas a cada proyecto

Si tienes varios clientes o proyectos, no está de más que lleves un registro del tiempo que has empleado en ellos. Sí, sería como «fichar» en tu propia casa. Te vendrá bien a la hora de ajustar mejor los futuros presupuestos, ya que te servirá para valorar el coste real de un trabajo o para replantear el proceso de los que te quiten demasiado tiempo.

10. Consulta a colegas de trabajo

Es otra de las carencias que señalan los freelances: echan de menos poder pedir opinión a un compañero para reafirmar una decisión o simplemente charlar unos minutos para comentar algo que les ha ocurrido con un cliente. Solvéntalo, si es posible, contactando con personas de tu ámbito (antiguos compañeros de trabajo o de clase, autónomos que se dedican a los mismo que tú…) Es un alivio sentirse comprendido y escuchado. El contacto humano te da energía para seguir.

CC by 2.0 (author: Tom Baugis)

CC by 2.0 (author: Tom Baugis)

The bitterness of poor quality remains…

Gentile Cliente, se per i Suoi progetti sta cercando traduttori con “migliore tariffa/tariffa più bassa” , si ricordi sempre che: “Il retrogusto amaro di una scarsa qualità rimarrà a lungo, anche dopo che il dolce sapor di un prezzo ridotto sarà stato dimenticato”. [Ditto!]

Translator Fun

Here’s an useful quote to use with your clients:

“The bitterness of poor quality remains long after the sweetness of low price is forgotten.”

Buy Now Button
 Purchase code C6

Watch the animated version of this cartoon

Do you enjoy Translator Fun?

Become a sponsor

View original post

Frozen: Sing-along (multilingual session)

Watch “Let It Go” From Disney’s ‘Frozen’

Performed In 25 Different Languages

JAN. 22, 2014

How they managed to get the tones so similar and so lovely is pretty impressive (it almost sounds like they’re all performed by the same girl) — which one is your favorite singer? TC mark

Cf. http://thoughtcatalog.com/sophie-martin/2014/01/watch-let-it-go-from-disneys-frozen-performed-in-25-different-languages/

Errori di adattamento, traduzione e doppiaggio (I)

Il post di oggi è un po’ più leggero rispetto a quelli dei giorni scorsi. [ ndr: ma estremamente più lungo AHAHAHAHAH -.- ]
Nel titolo ho addirittura messo tra parentesi un “I” per darmi un tono. (O tirarmi un po’ su di morale…! Onestamente non ne ho idea!) 😀 😀 😀
Non so se farò altri interventi del genere, ma mi piace pensare che avrò tempo e modo di scrivere anche post divertenti e inserire altre chicche del mondo del cinema, dei telefilm o della letteratura straniera.

[NB: uno l’ho già pronto, forse lo lascerò nelle bozze ancora per un po’…]

Non tutti sanno che sono particolarmente fissata con la saga “Pirati dei Caraibi“. Infatti, ai tempi dell’Università (*sigh* come passa il tempo…) volevo inserire la trilogia (nel frattempo mutata in tetralogia) nel comparto scientifico che avrei utilizzato per l’analisi della mia tesi di laurea triennale sugli errori di traduzione ed adattamento degli script originali nel cinema e nelle serie tv. Purtroppo, l’argomento era troppo vasto e riguardava una materia non curriculare (ndt: “traduzione audiovisiva” era una materia della specialistica e quindi non era attinente al mio piano di studi della triennale), perciò la Professoressa dirottò il mio diabolico piano su altro.

Savvy?
Comprendi?

Infatti, qualche anno dopo, ho “ripiegato” su una tematica diversa. {però questo ve lo racconto un’altra volta…}

Nonostante ciò, non mi sono arresa e ho continuato imperterrita a seguire le mirabolanti peripezie di Captain Jack Sparrow e di quei poveri adattatori che non hanno saputo proprio rendere giustizia alla saga.

La cosa che maggiormente mi ha perplessa e sconcertata – presumibilmente prima sconcertata e poi perplessa – è stata la scelta dei titoli dei vari film che, fin dal primo (datato 2003), ha puntualmente lasciato intendere che NESSUNO si fosse preso il gusto di visionare la pellicola prima di fare l’adattamento.
Ma andiamo con ordine.
Ora, capisco che il genere possa non piacere a tutti e che magari Johnny Depp o Orlando Bloom non siano il prototipo del vostro uomo ideale, così come Keira (biondina e segaligna) non lo sia della vostra “immortale amatissima”; posso anche passare sopra al fatto che, non sapendo dell’avvento del “2” e del “3” (e poi anche del “4” a cui, si vocifera, dovrebbe fare seguito un “5”), per il primo film sia stato omesso il riferimento alla serie “Pirati dei Caraibi”, MA (c’è sempre un ‘ma’) non si può tradurre “[Pirates of the Caribbean:] The Curse of the Black Pearl” (chiarissimo!) con un raffazzonato “La maledizione della prima luna“. Cosa c’era di difficile nel tradurre con un semplice “La maledizione della Perla Nera“? Perla Nera sapeva troppo di soap opera? Lo so, non era abbastanza EPICO. Just for the record: è il nome della nave.
Qui, si potrebbe aprire una parentesi di una 20ina d’anni in cui riprendere concetti trattati e stratrattati sul perché e per come si debba scegliere di tradurre letteralmente un testo oppure cercare di mantenere il senso di ciò che si intendeva nella lingua di partenza, portando il messaggio sullo stesso livello cognitivo dell’audience della lingua di arrivo con scelte linguistiche parzialmente o completamente differenti da quelle di partenza.
Io, personalmente, il film l’ho visto almeno 200 volte e di quella “prima luna” non c’è traccia. Barbossa dice “La luce della luna ci rivela per ciò che siamo in realtà. Siamo uomini maledetti: non possiamo morire, per cui non siamo morti, ma non siamo nemmeno vivi“. Eh. La ‘luna’ c’è (e non ci piove). E la ‘prima’? Mistero!

Crozza_Kazzenger
Kazzenger!

Nel 2006, la storia si ripete. Qui un po’ mi ha pianto il cuore, lo ammetto. Il titolo originale è struggente e al tempo stesso epico nella sua semplicità (once again). Il secondo capitolo della saga, infatti, si intitola “Pirates of the Caribbean: Dead man’s chest“. L’adattamento italiano non è riuscito nuovamente a rendere giustizia all’originale. Il film da noi è uscito con il titolo “Pirati dei Caraibi: la maledizione del forziere fantasma“.
Ovvio.
Perché cercare di riprendersi un minimo dal precedente scivolone? Giammai! Meglio continuare con ‘sta storia della ‘maledizione’ che ci piace assai! 😀 E va bene… Dietro a quel “chest” c’è un bellissimo gioco di parole volutamente scelto in inglese per collegare il fantomatico “uomo morto” al “forziere” (e/o al suo “petto”). Nonostante l’adattamento non mi piaccia tantissimo, devo ammettere che il senso della storyline è mantenuto. Il forziere c’è, non è proprio ‘fantasma’, ma Jack Sparrow è alla sua ricerca, perciò lui non sa dove sia e questo è grosso modo il plot del secondo film.

Una chicca estratta da questo capitolo è un errore di adattamento (e doppiaggio). Da quando l’ho individuato, lo posto ovunque.

Errori di (traduzione e) doppiaggio:

[eng/orig. version] Hammer-head shark Pirate: Five men still alive, the rest have moved on.

[trad/doppiaggio] Pirata Squalo Martello: 15 rimasti vivi, il resto è trapassato.

La domanda sorge spontanea: se sullo schermo ci sono 5 attori pronti per essere giustiziati, un dubbio non ti viene?

No, evidentemente no. 😀

large

Devo dire che della [vera] trilogia questo è il capitolo che mi è piaciuto meno, forse perché lascia lo spettatore con moltissimi buchi temporali nella storia, molti interrogativi, qualche intuizione abbozzata a causa dei nuovi personaggi introdotti e, in più, non ha una vera e propria conclusione. [ndr: doveva essere un film “ponte”; un collegamento tra il primo film, di cui non ci si aspettava un così grande successo, e il successivo, la conclusione della saga, su cui c’erano altissime aspettative. Effettivamente è così ‘ponte’ che quando appaiono i titoli di coda non riesci ad alzarti in piedi perché pensi ci sia ancora altro da vedere.]
Veniam perciò al III capitolo uscito nel 2007. L’unico che EFFETTIVAMENTE non ha subito grossi sconvolgimenti a livello di adattamento. Voci che erano trapelate prima della sua uscita avevano dato, come probabili, due titoli differenti, cioè “At World’s End” e “At Worlds End“. Non proprio lievissima la differenza tra le due opzioni. La prima si presta ad un più sottile gioco di parole, mentre la seconda lascia solamente intendere che il capitolo finale vede la fine dei “mondi” [ndr: quali mondi?]. La scelta è poi ricaduta sul primo titolo, che gioca sulla fine del mondo intesa come atto finale di un’Opera, quindi una sorta di resa dei conti, ma anche come luogo ben preciso dove REALMENTE i protagonisti si recano durante il film. [WARNING: major spoiler!!!]

not the best time
Non mi pare il momento migliore! (Elizabeth Swan)

La traduzione in italiano è abbastanza fedele ed infatti il film esce in Italia con il titolo “Pirati dei Caraibi: Ai confini del mondo” che riesce a mantenere parzialmente intatto il messaggio voluto con il titolo inglese. Potrei stare a parlare per dieci ore solo di questo film. E’ in assoluto il mio preferito. 🙂

[*FANGIRLING TIME*]

Keep a weather eye on the horizon...
Tieni gli occhi piantati sull’orizzonte… (Will Turner)

A distanza di 4 anni (è il 2011), esce nelle sale italiane, poi in quelle americane, “Pirates of the Caribbean: On Stranger Tides“. Il film è liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Tim Powers noto in Italia con il titolo “Mari stregati“. Un lettore/Uno spettatore attento a questo punto ha già fatto 2+2, vero? Il titolo italiano è quindi “Pirati dei Caraibi: Mari stregati“.

HAHAHA... NO.

Questa volta il titolo è stato tradotto con “Pirati dei Caraibi: Oltre i confini del mare“. Evidentemente, un più letterale “[PdC:] Verso acque straniere” o “Su maree sconosciute” avrebbe interrotto la continuità delle scelte linguistiche già applicate alla traduzione ed utilizzare lo stesso titolo del libro avrebbe implicato l’infrazione di qualche diritto d’autore (?). Dunque, la mossa più appropriata è stata – di nuovo – seguire la scia del capitolo precedente. Nasce perciò un collegamento con gli ex “confini del mondo”, con l'”Aqua de vida” segnata sulla mappa,  che porterà Jack Sparrow a navigare su acque straniere, più lontane. Ok. La domanda resta: PERCHé?

WHY?!

Per la mia gioia – e per quella di chi come me si è appassionato alla saga non solo per gli attori e i personaggi, ma anche per le vicende linguistiche che le gravitano attorno – è in preparazione il V capitolo della serie, il cui titolo sarà “Pirates of the Caribbean: Dead Men Tell No Tales“. Letteralmente possiamo tradurlo con “[PdC:] Gli uomini morti non raccontano storie” oppure, parafrasando un po’, con “[PdC:] I morti non mentono“. In verità “dead men tell no tales” è un modo di dire anglosassone che significa “dead people will not betray any secrets” e che in italiano suona più o meno come “I morti non tradiscono alcun segreto“.
Sono veramente curiosa di vedere che cosa tireranno fuori dal loro cappello gli adattatori . 😉 L’uscita è prevista per luglio 2015, manca solamente un annetto.

Vi lascio con un video STUPENDO in chiave ironica in cui vengono evidenziati, scena per scena, tutti gli errori in “POTC: The Curse of the Black Pearl“. Io sto ancora ridendo…

P.S.: grazie Wendy per avermi fatto capire che le .gif possono essere estremamente utili! 🙂